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                 un 
                museo pubblico italiano. L’evento, curato dal Direttore Danilo 
                Eccher, ruota intorno al rapporto intimo tra natura ed arte, in 
                un alternarsi di sensazioni, silenzi e percezioni. 
                  
                  Laib infatti, ripone tutte le sue attenzioni nella scelta 
                  della materia prima piu’ che nel risultato, spontaneo, che 
                  questa susciterà….ecco dunque l’uso della cera d’api, del 
                  latte o del polline a stupire, provocatoriamente, il 
                  visitatore. 
                  
                  Ad originare questa sua espressività, è la passione per il 
                  mondo orientale in particolar modo per l’India dove trascorse 
                  diversi anni studiando e seguendo con curiosità e rispetto la 
                  variegata cultura locale, dimostrando grande interesse per la 
                  filosofia, la sensibilità buddista, il misticismo: tutto 
                  questo ha favorito a partire dagli anni ’70, alla 
                  realizzazione delle sue opere..creazioni di grande essenza 
                  energetica, vere e proprie eco-installazioni. 
                  
                  La mostra del Macro raccoglie in 4 sale le rappresentazioni 
                  salienti dell’attività artistica di Laib: ci si trova dinanzi, 
                  ad esempio, alle suggestive…Milkstones, Pollen, Rice Houses e 
                  WaxShips. 
                  
                  E’ proprio con le pietre di latte che inizia la sua grande 
                  espressività al ritorno dai numerosi viaggi attraverso il 
                  mondo orientale. 
                  
                  Queste sono costituite da una lastra di marmo bianco ricoperto 
                  da un velo di latte che rende il solido..liquido, puro ciò che 
                  è corrotto..Laib dimostra così attraverso la materia il potere 
                  dell’Arte. 
                  
                  Anche il polline è un altro importante protagonista. 
                  
                  Laib provvede personalmente nel corso dell’anno, a raccogliere 
                  i pollini di diverse tipologie di piante tra cui la nocciola 
                  ed il tarassaco che favoriscono nella loro varietà, molteplici 
                  tonalità di giallo: è proprio questa sua partecipazione 
                  diretta al procedimento di realizzazione - dalla raccolta, 
                  alla produzione artistica -  a rendere quest’ultima così 
                  speciale. 
                  
                  Non siamo infatti di fronte ad una semplice superficie che 
                  viene ricoperta di “colore”, bensì d’avanti ad un rispetto 
                  garbato, ad un immenso riconoscimento, quasi religioso, nei 
                  confronti della natura: l’artista dispone il polline in forme 
                  geometriche, composte, ordinate, avvolte da un silenzio 
                  emozionante, riconoscente. 
                  
                  Nel corso degli anni ’80 invece, altri viaggi significativi, 
                  portano Laib all’uso del riso nelle sue creazioni: il 
                  prodotto, simbolo di fonte alimentare primordiale, è visto in 
                  chiave “altra”. 
                  
                  Esso è infatti esplicito richiamo al rito, alla devozione 
                  religiosa e per questo viene disposto, in piccole  piramidi 
                  lungo i contorni di strutture lignee o metalliche, chiaro 
                  richiamo ai cimiteri islamici. 
                  
                  Ma non è tutto. 
                  
                  Laib, negli anni successivi, utilizza nelle sue opere anche la 
                  cera d’api, inizialmente per creare spazi vivibili, in cui 
                  muoversi in una nuova visione percettibile: ecco allora la 
                  cera divenire componente di scale, alte, ripide e maestose che 
                  illudono lo sguardo o il tessuto per barche in bilico su 
                  sottili palafitte di legno. 
                  
                  E’ qui, al Macro, che il visitatore viene subito pervaso dal 
                  suo odore dolciastro ed invitante…poi lo sguardo segue le 
                  barche disposte orizzontalmente sopra al proprio capo..lassù 
                  sembrano sospese in uno spazio indefinito, pronte a salpare 
                  verso un mondo lontano, ignoto e forse per questo ancor piu’ 
                  affascinante. 
                  
                  La dimensione percettiva dunque, è il fulcro dell’evento 
                  espositivo: il visitatore è richiamato ad apprezzare la mostra 
                  con i suoi sensi, per captarne il sottile confine tra reale e 
                  misticismo, tra natura ed Arte. 
                  
                  Irene Di Biagio |